© Giancarlo Guzzardi

venerdì 16 febbraio 2007

Memorias de un rìo

Il Rio della Plata è una distesa enorme, specie in prossimità del suo delta, dove non si riesce a capire quando finisce il fiume vero e proprio e cominciano le acque del Mar del Plata. L’acqua ha un colore a volte verdastro altre rossa, ma sempre torbida, per via della gran quantità di terra ed altro materiale eroso che viene trasportata dal fiume. Questa torbidezza nasconde non solo la morte lenta della sua vita animale e vegetale, ormai allo stremo per l’azione dell’inquinamento, ma anche tanti episodi di cui nel corso dei secoli è stato muto testimone.



A me il nome di questo fiume-mare ha fatto venire in mente due cose distinte: una riguarda vicende reali e purtroppo recenti di questo paese, martoriato nella sua storia politica ed umana come tutti quelli dell’America Latina; l’altra un episodio che, se pur raccontato in un romanzo, all’epoca evocava un’altra pagina triste delle genti che si sono avvicendate su questi orizzonti.






Negli anni ’80 del novecento tra le brutture che hanno trovato testimonianza sui mass media di tutti i paesi del mondo, c’è stata quella dei “desaparecidos”, le migliaia di persone scomparse durante la brutale dittatura argentina. Quando scorrevo quelle righe, la notizia dei giovani studenti, operai, sindacalisti, gente comune, buttati vivi dagli aguzzini del regime dall’alto dagli aerei in volo su quell’acqua, mi colpiva con una fitta al cuore, più di ogni altra terrificante descrizione di tortura e sevizie di cui le dittature in questo continente si sono macchiate (i boia della dittatura di Pinochet in Cile, pensavano in grande: preferivano le onde dell’Oceano Pacifico!).
Così scorrevo queste righe ed immaginavo queste persone, questi ragazzi distrutti nel corpo e nell’anima; vedevo i loro sguardi inebetiti dalla droga somministratagli, mentre vivevano i loro ultimi attimi di vita, stretti l’uno contro l’altro lungo le pareti di freddo metallo degli aerei, prima che una mano assassina li precipitasse nell’abisso. Ma il loro soffio vitale era stato già loro strappato, mentre venivano portati via dalle famiglie, dai loro cari, dagli amici, dai loro amori. Le loro mani, strette le une nelle altre, a cercare una risposta ad uno stupore che gli sarebbe stata negata per sempre.



Nel racconto Dagli Appennini alle Ande, queste acque, le pianure desolate e gli orizzonti sconfinati di questo paese, ugualmente fanno da sfondo alla vicenda di Marco, un bambino partito da Genova alla ricerca della mamma scomparsa. Egli nel libro racconta di un viaggio sul fiume Paranà (che chiamare affluente del Plata è un eufemismo): “Partirono, e il viaggio durò tre giorni e quattro notti, su quel meraviglioso fiume Paranà”. Così prova meraviglia quando naviga sul Rio della Plata, prima di mettere piede a Buenos Aires, per lui città infinita.

Queste le memorie affidate alle acque che ancora oggi dividono due nazioni, due porti, due capitali, ma non le popolazioni, che hanno la stessa lingua, gli stessi tratti somatici, le stesse tradizioni.

Ma i bambini oggi leggono ancora Dagli Appennini alle Alpi?...e i più grandicelli, sapranno mai chi erano Peròn e Pinochet?

Giancarlo
© images Sabrina Gerbino

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