© Giancarlo Guzzardi

lunedì 12 febbraio 2007

Buenos Aires: non sembra America Latina

La prima cosa che ricordo del mio viaggio in Argentina è l’arrivo a Buenos Aires.
Dopo 14 ore di volo su un traballante aereo della Aerolineas Argentinas, anche se non sei un patito dell’igiene non vedi l’ora di lavarti. Ma dato il fuso orario i voli dall’Europa atterrano alle 6 del mattino e a quell’ora neppure la più squallida pensione argentina è disposta a darti una camera.

Allora ti aggiri per la città come uno zombi, ma almeno lo zaino da 35 chili è in albergo. Ho gli scarponi ai piedi, non sono riuscita ad infilarli in nessuna valigia ed ora il caldo della città incomincia a salire, proprio dai marciapiedi.

La città si sveglia con i lavori più assurdi: per strada chi pulisce le cornette dei telefoni pubblici, chi vende caffé o acqua calda per il mate. Poi improvvisamente senti le strade che si animano, si riempiono di movimento e rumori, come se tutti uscissero di casa nello stesso momento.


Non sembra di essere in America Latina; le case parlano europeo, la gente parla più italiano che spagnolo. I barboni per strada: gli stessi di sempre, anche se qui sono tutti di origine cilena.
Ormai non ho più sonno e l’adrenalina avanza. Mi cambio e incomincio un giro.

So che non mi fermerò troppo, le città non fanno per me.
Chiamo un taxi e l’autista è italiano! Volevo vedere la Casa Rosada nella piazza dei desaparecido, un pezzo della triste storia argentina, ma l’autista mi dice che per capire l’anima triste dell’Argentina prima devo vedere la parte allegra, poi potrò capire quanto è triste Plaza de Mayo.


Cosi mi ritrovo alla Boca.
La Boca non è solo il quartiere di una grande città, è come se ne fosse il cuore, l’anima. Ci sono turisti dappertutto, ma se ti incammini verso il silenzio riesci a scoprire cosa vuol dire l’anima allegra dell’Argentina. Buenos Aires è una città enorme e come tutte le grandi città è ricca di contraddizioni. Ma la cosa che più ricordo sono i sorrisi della gente.


Sono rimasta a Buenos Aires tre giorni.
Una mattina ero in strada con una cartina della città: volevo prendere un autobus per arrivare al fiume Paranà e poi giù fino al Rio della Plata, ma non riuscivo ad orientarmi. Improvvisamente una coppia di anziani signori mi saluta, dicendo che in aereo erano seduti due file dietro di me (io ovviamente non li avevo notati!). Mi spiegano la strada da percorrere e mi offrono un caffè, mentre mi raccontano un pezzo della loro vita, in bilico tra Italia e Argentina.


Quando sono arrivata al fiume ho deciso di fare un giro in barca; sarà anche una cosa da turisti, ma come lo vedi un fiume grande quanto un mare, se non hai una barca?!
Ed è stato incredibile.


Sabrina Gerbino
© images Sabrina Gerbino

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